di Gaetano Quattromani
Tra la fine del mese di dicembre e l’inizio di novembre del 2022, nell’ambito del percorso di co-progettazione Ad Uso Civico e Collettivo, le figure esperte del Team SOS insieme alle comunità di Ex-Opg Je so’ pazzo e Scugnizzo Liberato hanno realizzato un’indagine territoriale sui bisogni, desideri, percezioni, attività realizzate, risorse e connessioni. Un’iniziativa di approfondimento, senza precedenti per i due beni comuni coinvolti, e di immaginazione delle corrispondenze tra questi ultimi e il territorio urbano.
La stampa vedutistica in copertina – l’anno della sua prima edizione è il 1692 – ritrae la struttura urbana di Napoli, non più medievale in seguito agli stravolgimenti dell’epoca vicereale. Differenze ce ne sono, con la città a noi contemporanea, indiscutibilmente e a iosa; e però, quanti aspetti della vita di allora ci appaiono, in un certo senso, familiari? Guardando la stampa si riescono a immaginare le genti, provenienti da tutto il bacino del Mar Mediterraneo, accalcarsi a Porta Capuana e a Piazza Mercato, piene di sole e di vento salsedinoso che soffia dal mare; le folle attraversanti il mercato della Pignasecca, con i corpi che scivolano urtandosi e spingendosi tra i banchi della frutta, della verdura e del pesce; e per le strade di Borgo Sant’Antonio Abate – nel tracciato, identiche a oggi – dal vicolo all’angolo quasi ci si aspetta di veder spuntare quel volto amico che non s’incontra da tempo. I castelli ci sono e il Palazzo Reale domina su Largo di Palazzo – non è ancora Piazza del Plebiscito con la sua famosa basilica. Mancano poi il Rettifilo e la Ferrovia. E i fianchi della collina del Vomero sono verdi di terrazze coltivate mentre di Posillipo si riconosce il profilo del promontorio e soltanto Palazzo Donn’Anna. Ma da Mergellina, pur se ansimando per via del fiatone, è possibile risalire le tredici scese sino in cima.
Il cityscape della calcografia è opera di Paolo Petrini, incisore del rame ed editore nella San Biagio dei Librai tra Seicento e Settecento. Ogni rappresentazione, ogni mappa – in linea di principio, persino quella che genererebbe uno scandalo del pensiero, cioè un’impossibile riproduzione del reale in scala 1:1 – veicola anzitutto un contenuto simbolico e ideologico, un’espressione ideologica di significato e di rapporti politici, con dei tratti di involontarietà, talvolta invece interamente consapevole: una voce collettiva, un’idea di mondo, un modo di raccontarsi e di pensare la vita. Viene narrata attraverso il disegno di Petrini una Napoli che ha già visto spuntare le sue miriadi di chiese e cappelle, oltre a una parte considerevole dei suoi maestosi palazzi nobiliari del centro storico. Una città popolosa e piena di vigore del mondo cristiano, con tante chiese costose da edificare e da abbellire, e numerose, ricche famiglie patrizie. E con molti monasteri. Spulciando la legenda presente nella parte bassa della calcografia possiamo leggere i nomi di due conventi, quello di Sant’Eframo e quello delle Cappuccinelle, eretti più di un secolo prima che Petrini realizzasse l’incisione.
Nel 2023 la città li conosce sotto altri nomi. Sono, rispettivamente, Ex-Opg Je so’ pazzo e Scugnizzo Liberato, accomunati dal fatto di aver cessato, nel corso della propria storia, la funzione di conventi finendo per assumere quella di case di reclusione. Una manicomiale, l’altra dedicata alla detenzione dei minori: in tal modo la città ha attraversato il Novecento delle istituzioni totali, fino al tramonto di quella lunga stagione. Osservando il tracciato stradale intorno ai due grandi edifici, che li connette con i rispettivi rioni, vien da chiedersi come si innervassero nei gangli dei loro territori. La loro storia sociale: quali relazioni costruissero con essi, di che qualità, e perché. E quali rapporti mantenessero con quei luoghi chi abitava quei quartieri. Li attraversavano? Li utilizzavano? Conferivano loro legittimità e senso? L’esistenza dei due conventi si fondava dentro la vita della città, come un elemento interno non per forza malvolente e, in qualche modo contraddittorio, persino coinvolgente i bisogni della popolazione? Si configuravano come del tutto irrelati rispetto a essa? Oppure – alla stregua di un ospedale psichiatrico o di un carcere minorile – la schiacciavano sotto l’egida cruenta della violenza istituzionale?
Il primo passo del percorso di co-progettazione Ad Uso Civico e Collettivo – di cui vado raccontando in una serie di articoli dedicata: qui è possibile leggere il primo – è consistito di una fase di indagine e di mappatura, dal duplice senso di gettare delle fondamenta per momenti di lavoro successivi, riguardanti altre aree, e di conoscere i due beni comuni, Ex-Opg e Scugnizzo, nel loro contesto territoriale quotidiano, tracciando il cosa, il come e i perché di fruizioni, di risorse collettive coinvolte e dei relativi rapporti sociali. I beni comuni, infatti, possono essere tante cose e ricoprire molteplici significati, ma certamente vanno a comporre il quadro di due azioni caratterizzate da un urgente sapore di attualità. Sono, anzitutto, una risposta politica, comunitaria, sociale, giuridica, culturale alla crisi identitaria di strutture che hanno smarrito il proprio senso urbano entro il movimento della storia chiamato neoliberismo, e poi ridisegnano nelle idee e nelle pratiche non come si governi un territorio bensì come lo si possa direttamente vivere.
In ciò c’è evidentemente una scelta di campo: nelle immagini e nel senso, che l’intero processo dei beni comuni evocano e tentano di realizzare, risuona il mondo della vita, quello dell’incontrarsi liberamente tra esseri umani, dell’organizzazione e della diffusione senza ostacoli di forze sociali e culturali all’interno di un territorio, grazie al fatto che esistano dei nodi territoriali che permettano concretamente il compiersi di ciò. Interpellare questo processo vuol dire mettersi a produrre significati, a restituire immagini del mondo. Esaminiamo quale sia stato il processo di lavorazione collettiva per far ciò e quali figure dei quartieri e della città siano state generate. Per la prima volta – per i beni comuni si tratta di un esordio: bisogna auspicare che sia presto seguito da altri esempi – si realizza un’attività di conoscenza di un contesto territoriale con la consapevolezza che i risultati incideranno sul disegno di una progettualità urbanistica di ampio respiro, finanziata sostanziosamente, con ricadute di peso sulla vita quotidiana di chi abita i quartieri intorno alle due strutture, in termini di risorse e di bisogni.
Avendo questi obiettivi prefissati come inevitabili per perseguire lo scopo di allargare e migliorare la partecipazione alla vita dei due beni comuni, l’attenzione dell’indagine si è rivolta all’approfondimento della conoscenza di/delle abitanti e delle organizzazioni presenti, e sul modello di governanceconcretizzato quotidianamente dalle comunità che nell’esercizio del diritto d’uso civico e collettivo – diritto riconosciuto a chiunque attraversi gli spazi – gestiscono Ex-Opg e Scugnizzo Liberato. In tal senso, un passaggio obbligato è stato quello della mappatura degli spazi, realizzata nel corso di due giornate dedicate dalla squadra di figure esperte di SOS intervistando chi abita gli spazi, che ha permesso di censire le attività portate avanti e le relative prassi di gestione: localizzazione delle attività, risorse economiche e strumentali collettive e condivise, corrispondenza tra le attività in questione e bisogni e desideri delle comunità e dei quartieri, la partecipazione civica e della comunità, le collaborazioni con soggetti, gruppi ed enti. Cliccando qui è possibile consultare i dati relativi allo Scugnizzo Liberato, mentre qui si possono visualizzare le informazioni riguardanti l’Ex-Opg – Je so’ pazzo. È utile spulciare i tipi di attività e le loro modalità previste di funzionamento.
La fase di indagine relativa al contesto territoriale si è invece concentrata sulle esigenze dei quartieri, esplorando la capacità delle attività realizzate presso i due beni comuni di corrispondere a queste ultime, delineando le potenzialità del territorio, scoprendo la percezione di Ex-Opg – Je so’ pazzo e Scugnizzo Liberato presso la cittadinanza. Impresa, questa della fase di ascolto, tutt’altro che semplice da portare a termine rispettando i tempi decisamente ristretti imposti dai termini della consegna: ne ha sofferto grandemente la diffusione degli strumenti di indagine. C’è da auspicare che la ricerca sociale – possibile, nel suo senso profondo, a patto di durare per un periodo consono – incontri condizioni di realizzazione favorevoli, in quanto capace di assicurare che si pervenga a una raffinatezza immaginativa aperta e democratica, fondata strettamente sulla corrispondenza tra bisogni delle persone e risposte da mettere in campo, in merito ai percorsi di progettazione e agli interventi di spesa pubblica in generale: una base su cui costruire delle istanze di concreto progresso civile.
In ogni caso, il lavoro svolto ha consentito di produrre una mole di informazioni tale da aver reso possibile elaborare un quadro della situazione e generare uno spazio chiaro per considerazioni, valutazioni e riflessioni utili ai fini sia della programmazione delle attività future dei due beni comuni che del prosieguo dell’opera di inchiesta. Cosa programmare di approfondire compatibilmente con il tempo a disposizione? Come raggiungere chi si ha l’interesse di interpellare? Relativamente a quali argomenti? Insomma: chi sono i soggetti dell’indagine e attraverso quali strumenti stimolare l’emersione delle opinioni, dei punti di vista, delle considerazioni, delle valutazioni? E, infine: chi deve realizzare tale lavoro? Queste sono le domande formulate nei termini di sintesi della discussione collettiva avvenuta in occasione di un primo incontro della fase di indagine ad avvenuta mappatura degli spazi.
Così è stato stabilito che le informazioni avrebbero riguardato i dati anagrafici e reddituali dei soggetti, i loro bisogni, le attività già esistenti nel quartiere e altre eventuali da proporre, le modifiche della percezione dello spazio urbano dopo la vivificazione dei luoghi prima abbandonati in seguito all’apertura dei beni comuni, il tempo dedicato al volontariato o all’attivismo, i gruppi sociali attraversanti il quartiere, i benefici riscontrati dalla frequentazione dei beni comuni, l’idea di cura alla base dei desideri e delle responsabilità di chi sceglie di prendere parte alla vita di questi ultimi. In merito ai soggetti dell’indagine sono state elaborate cinque categorie di riferimento: le antenne degli spazi, persone che portano avanti attività all’interno dei Beni Comuni; le antenne del quartiere, testimoni privilegiati della vita del territorio; chi attraversa i beni comuni; gli/le abitanti del quartiere; persone partecipanti o facenti parte di enti e associazioni. Per quanto concerne, invece, gli argomenti, essi hanno spaziato dalle attività esistenti del quartiere a quelle mancanti ma auspicate alle definizioni del gruppo di persone che si frequentano; dalle mancanze urbanistiche del quartiere al come si occupa il tempo libero; alle collaborazioni con i beni comuni, già avvenute o possibili, alla conoscenza di Ex-Opg e Scugnizzo, alle proposte di possibili attività da realizzare.
Una volta definite le categorie di informazioni da reperire e di persone da interpellare, durante un confronto interno alla squadra di SOS è stata vagliata una rosa di strumenti da utilizzare e possibilità a cui ricorrere, allo scopo di portare avanti il lavoro. Il primo di essi, denominato inchiesta di apprezzamento o appreciative inquiry, un modello di tipo qualitativo di intervista che prevede il racconto di una storia da parte della persona intervistata, una storia relativa all’esperienza positiva nel contesto – Scugnizzo Librato oppure Ex-Opg – Je so’ pazzo, nel nostro caso – seguita dall’invito a immaginare un futuro desiderabile e a indicare modalità, strumenti e risorse per poterlo realizzare. Accanto a tale metodologia qualitativa, di fronte all’esigenza di raccolta di informazioni standardizzabili, sono stati affiancati due questionari, disparati perché destinati a essere somministrati l’uno a enti e associazioni, l’altro a persone che vivono e attraversano il quartiere.
Qui è scaricabile il documento in formato .pdf che presenta i risultati: anche in questo caso, considerando l’insieme delle dichiarazioni e delle preferenze, si delinea un’immagine della vita urbana dai contorni molto netti. Chi legge si faccia pure un’idea personale di tali risultati, è ovvio. Ma forse la cornice più corretta in cui considerarli è quella dell’immaginazione della città possibile, la Napoli dei quartieri in cui si avverano una corrispondenza complessa e un’intersezione multilivello tra desideri e bisogni della popolazione da un lato, risposte istituzionali e istanze di progresso civile e di modernizzazione democratica dall’altro: un discorso con i beni comuni in quanto nodi territoriali, autonomi ma con un ruolo fluidamente al centro della faccenda.
Per fare qualche esempio, dai questionari compilati dagli/le abitanti emerge nettamente l’esigenza della presenza di attività culturali (15%) e destinate alle famiglie, ai giovani e ai bambini (14%), e ancor di spazi verdi e di luoghi di aggregazione – addirittura il 40%: una percentuale tracimante ma probabilmente inevitabile, considerata la rovinosa mancanza del verde a Napoli, notoriamente una città di cemento. Non mancano le richieste di orientamento ai servizi e quelle di assistenza presso presidi sanitari territoriali. E anche qui si indicano questioni che per forza si sollevano, in quanto conseguenze della mutazione in senso neoliberale delle istituzioni, e del sistema sanitario in particolare: una mostruosità che attende di essere superata anche in quanto segnatamente incapace di misurarsi con le esigenze di una popolazione con alto indice di vecchiaia, con la domanda di interesse pubblico e collettivo, con la rivendicazione di inclusione dei soggetti fragili. Un quadro della situazione che si può iniziare a riflettere sulla scorta di dati che indicano bisogni e desideri da parte di soggetti la cui azione potrebbe impattare positivamente nel senso della trasformazione di tali condizioni di vita. È questa, certamente, l’immagine di una Napoli da evocare dal futuro, la cui costruzione si impernia sui ruoli svolti da gli/le abitanti dei quartieri, dai corpi associativi attivi sui territori, da chi attraversa i beni comuni e li anima, e soprattutto sui bisogni e sui desideri che tali soggetti incarnano nella propria vita. Una costruzione che potrebbe muovere i primi passi proprio dalla realizzazione di percorsi come quello di Ad Uso Civico e Collettivo. La questione tornerà a presentarsi con il successivo articolo della serie, che ha come oggetto il passo successivo del percorso, i laboratori di ideazione generati per rispondere alla domanda «Come possiamo rispondere ai bisogni del quartiere aggregando le specificità di diversi attori di prossimità verso una visione di impatto comune?».
Riepilogo dei link presenti nell’articolo e ulteriori collegamenti per approfondire:
La mappatura dettagliata delle attività dello Scugnizzo Liberato
La pianta delle attività dello Scugnizzo
La mappatura dettagliata delle attività dell’Ex-Opg Je so’ pazzo
La pianta delle attività dell’Ex-Opg
Il primo articolo della serie sul percorso di co-progettazione Ad Uso Civico e Collettivo