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Canto d’una kalimba a difesa delle cause vinte

A una notizia bella segue sempre una meno bella. Pare. No. Non è così. Non in questo caso, almeno. In questo caso di notizie belle ce ne sono stare una serie.

La serata del 19giugno 2021 non è stata bella per un motivo solo, infatti.
Non lo è stata (almeno non solamente), perché ha segnato il primo, ritorno, di un’iniziativa (rigorosamente nel rispetto di tutte le sensibilità, in ottemperanza a quel protocollo di sicurezza che colà si è adottato, salvo ribattezzarlo ob-torto collo) aperta al pubblico: il primo concerto dal vivo, del 2021, in Asilo.
Non lo è stata (o perlomeno, di nuovo, non solamente) perché ha fatto seguito a un primo, importante, workshop. Nei giorni precedenti, infatti, chi ha aderito alla chiamata alle arti ha avuto la notevole occasioni di potersi autocostruire lo strumento che, il giorno dopo, avrebbe suonato assieme al suo maestro: venuto apposta dall’Olanda, Yuri Landman ha, infatti, offerto quest’opportunità alla cittadinanza napoletana, innamoratosi del processo creativo, e delle sue modalità di inclusione e non verticistiche, dei beni comuni urbani napoletani e, in particolare, dell’Asilo.

La sua proposta, infatti, di un atelier musicale è stata una boccata d’aria fresca nell’asfittica atmosfera crepuscolare di una pandemia sempre più simile a un tunnel sospeso di cui se n’intravede l’uscita ma senza mai raggiungerla (come un miraggio à la Sisifo più che un’utopia galeaniana).

Hello,
My name is Yuri Landman and I am an musical instrument builder for Sonic Youth (Lee), Einsturzende Neubauten, and some other noise acts. […] I am searching for a place in Napoli region that is interested in also doing a small audience event. This can be either making electric instruments with a group of max 10 people and/or it can be a solo performance done by me.

Requirements:
– 1 bed and some food (that is always good in Italy)
All I need is a garden (or any other save place) and a bunch of tables to work on. I bring all tools and instrument parts. Usually participants pay for the instruments, not the org itself.

Main question: Would it be interesting for you to do this with me?

Nasce così una piccola follia: con una proposta di dono. Dopo una discussione non scontata in assemblea sull’ospitare una simile opportunità (calcolando se vi fossero le forze fisiche per sostenerla come meritava), si è propeso per cogliere quest’opportunità, con una due giorni:
– il 18, dalle 16:00 alle 18:00, si è svolto il laboratorio sotto la supervisione del maestro europeo, sul terrazzo dell’Armeria

foto di Annarita Cilla

– il 19, alle 15:00, ci sono state le prove e, alle 20:30, c’è stato il primo concerto, partecipato e diffuso, della nuova stagione culturale dell’Asilo, per il 2021, nei pressi dell’orto.
Riprende così il discorso interrotto di Geografie del Suono (il n° 60: si riuscirà ad arrivare a 100 entro l’anno?), in un sabato sera relativamente tranquillo, in una città che sta ricominciando a respirare (in tutti i sensi), dopo una giornata di cappa afosa. E lo fa ricominciando dalla musica. E lo fa a modo suo: autodotando chi vuole di know-how e promuovendo, a prezzo popolare se non di costo, la diffusione di competenze (che sono know-how immateriale e, perciò, forse anche più durevole in prospettiva). Cala il sole su un tavolaccio da ponteggio sostenuto da un paio di cavalletti, sopra il quale stanno allineate, alla rinfusa, delle apparenti cianfrusaglie: tubi, bottiglie di bibite, oggetti, fino a un’inquietante bambola.

E poi comincia. Dopo aver passato due giorni a saldare, montare e provare le loro kalimbe, gli improvvisati allievi di Yuri si accordano, improvvisano, e seguono il loro maestro, che li coordina. La magia si svolge sul tavolo, intorno a esso, e davanti. Infatti, sotto il porticato, cominciano a prendere posto, in grande anticipo, sulle poltrone rosse disposte in modo da contingentare le presenze, uno a uno, una serie di volti più o meno noti.
Sono coloro cui è mancato l’Asilo. Chi non c’è mai stato prima. Chi ci fa volentieri ritorno. Chi non ne poteva proprio di starsene lontano.
Intorno alla chiamata di un piccolo e improbabile concerto (rigorosamente senza assembrarsi e mascherinati come si conviene) la comunità torna a far quadrato intorno: a ribadire la sua presenza, finalmente in presenza, e il suo continuare a esserci e volerci essere (non sa quanto ce ne sarà bisogno di lì a poco).
Si ride, si gode la musica, si scambiano saluti e si riconosce qualcun_ che non si vedeva da tempo in una cornice che si sente essere propria e di tutt_ allo stesso tempo. Si sente di stare dove si vuol essere e con chi si vuol tornare a condividere il proprio tempo. E sotto la mascherina si sorride e si stendono un po’ le rughe di quella tensione continua d’una vita trattenuta nell’attesa del ritorno a una normalità che, oltre a non esserci mai stata, tarda a tornare, ed è ancora tutta da re-immaginare e ri-significare. E questo può essere un ottimo inizio per riprendere a farlo, insieme, in modo paritario e trasparente. Il concerto finisce, con un lasso di tempo sufficiente al pubblico per rientrare e agl_ abitant_ dell’Asilo per smontare, ripulire e lasciare gli spazi come si conviene per chi dovrà utilizzarli il giorno dopo: compagnie teatrali, laboratori, student_, lavorator_ dell’immateriale in cerca di ospitalità per il loro co-smart-working.

Ma la premessa dell’articolo non viene smentita ed ecco lo spiacevole sviluppo che la serata assume: due uomini in divisa entrano sotto il porticato, cominciano a guardarsi intorno e a porre domande. I loro modi sono cortesi e urbani ma le domande completamente fuori luogo. Chiedono di chi sia quel posto, se ci sia stato assegnato, chi disponga delle chiavi, se è un bene comunale e allora a quale titolo siamo lì. Sembra incredibile dopo nove anni dover fornire simili spiegazioni. Eppure lo facciamo. Tutt_ insieme, spiegando che le domande sono quantomeno malposte e se non ingenue assolutamente fuori luogo. I tutori dell’ordine sono alquanto scettici quando proviamo a spiegargli il metodo assemblare, che non c’è stata alcuna assegnazione, che non ci sono associazioni formali o proprietari né accomandatari d’uso. Verificano e tornano di nuovo. Sono stati chiamati lì da una segnalazione. Eppure l’evento è finito ben prima della mezzanotte. Chiedono se l’evento fosse organizzato e la risposta è che lo è nella misura in cui lo sono sempre stati tutti quelli che si sono succeduti nei migliaia d’attraversamenti degli ultimi anni in ciascuno dei beni comuni. Sono state osservate le regole della sicurezza, scrupolosamente, come loro stessi possono constatare. Alla fine viene mostrata la loro la delibera e la dichiarazione d’uso civico, mostrando loro l’archivio contenuto in questo stesso sito. Infine si convincono e vanno via.
Una nota stonato in un’orchestrazione che era stata, peraltro, fino a quel momento di una gioia perfetta. Provocazione? Tentativo di posizionamento? Come mai e da chi sia partita una simile segnalazione, e perché abbia trovato orecchie sensibili a perseguirla, e perché proprio in questo momento, sono solo alcune delle domande che aleggiano e che gettano un’ombra scura sul futuro imminente (o è solo paranoia?). Veramente è possibile che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra (da quasi dieci anni, peraltro)? Era una sorta di preavvertimento del mutamento politico a venire (come una stesa gomorroide?)? Abbiamo tornato a respirare per una sera, ma la realtà ci ha subito sospinto all’aurea mediocritas di questi tempi sospetti e asfissianti. Che fastidio può mai procurare un centro di cultura interdipendente, libero e autorganizzato, nel pieno centro storico di Napoli? Un luogo che si sforza, da anni, di condurre una sperimentazione su un modo diverso, più partecipe, collettivo, di coltivare ed esperire rapporti interpersonali detossicizzati da colonialità, maschilismo, competizione capitalistica e razzismo e di contrapporsi all’ambiente esterno fatto di individualismo esasperato e incuria per l’altrx?

In memoria di Ron Cobb (21/9/37 – 21/9/20)


Non sappiamo immaginarlo, oppure non vogliamo. Quel che sappiamo con certezza è che non saremo soli nel tentativo di proteggere il fioco lumicino che stiamo tentato di mantenere vivo, e che continueremo a presidiare questo piccolo spazio di libertà e ri-generatività culturale e artistica che siamo riuscit_ a ritagliare e restituire a una città sempre più stretta dalla morsa di turistificazione, isolamento, impaurimento e continua ricerca di un nemico sempre esterno e mai dentro, o sopra, di noi.
Come un manipolo di barbari, continueremo a stringerci contro il nulla che avanza, rispondendo alzando il volume della nostra sperimentazione. E anche quello delle nostre casse perché arrivi più forte l’onda sonora della nostra controcultura.