L’uso civico e collettivo urbano

La rete napoletana dei beni comuni ha dotato la città di nuovi strumenti per l’amministrazione degli spazi urbani e dei beni di proprietà comunale. Si tratta di forme giuridiche e istituzionali che danno il potere alla comunità di partecipare alle scelte pubbliche sulla destinazione di palazzi e aree urbane, di gestire direttamente i beni comuni e di renderli accessibili abbassando quanto più possibile tutte le barriere economiche e sociali. 

La maggior parte dei beni comuni della rete sono stati giuridicamente riconosciuti grazie al nuovo strumento dell’ ‘uso civico e collettivo urbano’; per altri di loro, la battaglia è ancora in corso, attraverso una costante dialettica con l’amministrazione comunale.


Cos’è l’uso civico e collettivo urbano

L’uso civico e collettivo urbano è un istituto giuridico elaborato dalle stesse comunità della rete napoletana, che ha consentito al Comune di Napoli di riconoscere formalmente alcuni immobili del proprio patrimonio come beni comuni ‘emergenti’.

Ciascun bene comune, nelle proprie assemblee pubbliche e aperte, ha scritto una Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano, che mette su carta le pratiche con cui ogni giorno la comunità usa e gestisce il bene, sforzandosi costantemente di riflettere su se stessa per rendersi sempre più aperta, eterogenea e inclusiva. Nella Dichiarazione sono descritti, ad esempio, gli organi e i processi decisionali, le procedure per l’accesso agli spazi, la condivisione delle responsabilità tra le comunità e l’Amministrazione, i principi delle economie interne. Alla Dichiarazione è allegato un ‘dossier delle attività’ che mostra la varietà delle attività e dei soggetti che usano gli spazi. Il dossier rende chiara l’accessibilità e la ‘redditività civica’ dei beni comuni, cioè la capacità di ridistribuire le risorse e produrre un enorme valore culturale, sociale, politico e pedagogico.

L’Amministrazione ha riconosciuto formalmente queste forme di autogoverno, con apposite Delibere della Giunta Comunale. Queste ultime prendono atto delle Dichiarazioni stesse, identificandole ufficialmente come regole di gestione e uso degli spazi (D.G.C. nn. 893/2015, per l’Asilo, 297/2019, per Villa Medusa, e 424/2021 per Lido Pola, Santa Fede Liberata, Scugnizzo Liberato, ex OPG e Giardino Liberato). Le Delibere riconoscono altresì la ‘redditività civica’ delle esperienze e dunque impegnano l’amministrazione a sostenerle garantendo l’accessibilità del bene e facendosi carico tra l’altro delle utenze e dei lavori straordinari. 

In tal senso, l’uso civico rappresenta un’alternativa alle forme di assegnazione esclusiva a soggetti individuali o collettivi (come le concessioni), particolarmente utile per comunità. Piuttosto, vanno a costituire nuove istituzioni partecipative, basate sull’autonomia e democraticità dei processi assembleari.


Come è nato l’uso civico e collettivo urbano

L’uso civico e collettivo urbano è stato sperimentato per la prima volta a l’Asilo, in una gestazione durata oltre tre anni, all’interno delle assemblee pubbliche della comunità, gruppi di lavoro, tavoli pubblici con l’amministrazione, momenti di studio con esperienze nazionali e internazionali… 

La liberazione di uno spazio – dettata da un bisogno urgente di spazi per uso sociale e culturale – ha prodotto un movimento ampio ed eterogeneo che ha avuto la forza di affermare un cambiamento nelle istituzioni e ha proposto esso stesso delle forme di coinvolgimento diretto degli e delle abitanti nelle decisioni sugli spazi urbani. L’obiettivo era creare un precedente giuridico, che potesse essere usato anche in altri contesti come risorsa per il riconoscimento di altre comunità.

Queste necessità hanno consentito di muoversi in modo creativo all’interno del quadro legislativo, per far emergere un nuovo strumento che – pur non essendo previsto esplicitamente dalla legge – trovava un ancoraggio diretto nella Costituzione, in particolare nei diritti di partecipazione (art. 49), nella ‘funzione sociale’ della proprietà (art. 42), nella possibilità di amministrare collettivamente servizi essenziali (art. 43) e, soprattutto, dell’uguaglianza sostanziale. Con questo orientamento, il Comune – dopo aver modificato lo Statuto per introdurre i beni comuni – ha avviato un percorso di Delibere che hanno riconosciuto l’uso civico e collettivo urbano dapprima de l’Asilo (Delibera 400/2012 e 893/2015) e successivamente dei ‘sette spazi’ (Delibera 446/2016): Giardino Liberato, ex Lido Pola, Villa Medusa, Scugnizzo Liberato, Santa Fede Liberata ed ex Schipa.


Le Dichiarazioni d’uso e i principi comuni dei beni comuni napoletani

Ogni bene comune ha la propria vocazione e le proprie modalità di governo. Tuttavia, negli anni, la rete ha promosso un percorso di dialogo e confronto interno per individuare dei principi comuni a tutte le Dichiarazioni. 

Ad esempio: 

  • l’uso non esclusivo di alcuna parte degli spazi, in antitesi a ogni logica proprietaria; 
  • il rifiuto di ogni logica di mercificazione e la generazione di economie non competitive;
  • la costruzione di un mutualismo che non vuole sostituirsi ai servizi pubblici essenziali, ma agire per la difesa e l’estensione dei diritti; 
  • la gestione assembleare caratterizzata da: apertura alla partecipazione di tutti/e; pubblicità della convocazione e dei verbali; pubblicità del calendario delle attività; metodi decisionali previamente stabiliti, basati sul consenso o altre modalità che rispettino il dissenso; la partecipazione alle assemblee con atteggiamenti non proprietari e non ostruzionistici;
  • l’apertura alle proposte d’uso, sulla base di criteri organizzativi e temporali e delle concrete possibilità di scambio mutualistico di tempi e capacità, nel rispetto dei principi fondanti dell’uso civico e dei criteri di antifascismo, antirazzismo e antisessismo. 
  • L’assunzione di responsabilità dell’Amministrazione rispetto all’accessibilità degli spazi;
  • l’esclusione della possibilità di condizionare l’accesso agli spazi a un contributo economico vincolante;
  • la costante capacità autoregolativa delle comunità, e quindi la modificabilità delle Dichiarazioni solo da parte delle stesse assemblee, attraverso un procedimento rafforzato

L’uso civico nel dibattito italiano sui beni comuni

L’uso civico e collettivo urbano ha innovato in profondità lo strumentario giuridico a disposizione per la cura, l’amministrazione e l’uso dei beni comuni. In particolare, lo strumento dell’uso civico e collettivo urbano tende ad abbassare le barriere economiche e sociali rispetto alla gestione e all’uso dei beni comuni, in quanto prevede un supporto materiale dell’amministrazione e, al tempo stesso, una gestione e un uso non esclusivi degli spazi. Inoltre, traduce i bisogni di comunità che vogliono mantenersi radicalmente aperte e orizzontali, dando la priorità all’abbassamento delle barriere economiche e sociali, e in tal senso percepiscono l’insufficienza delle forme di soggettività giuridica riconosciute dal diritto vigente.

Oltre il diritto, la sfida posta dai beni comuni a Napoli è stata quella di liberare degli spazi per pronunciarsi sul governo del territorio in modo più ampio. Gli spazi pubblici sono identificati immediatamente come risorse da mettere in comune per fini sociali, soprattutto a beneficio di chi è espulso/a da altri spazi per ragioni economico-sociali o altri tipi di discriminazione. In questo senso, l’esperienza rappresenta un’opzione forte – e al tempo stesso un’alternativa concreta – contro la privatizzazione della proprietà e della gestione dei beni pubblici, che si traduce in un aumento delle barriere all’accesso e a una sottrazione di risorse e di potere alle comunità. Al tempo stesso, i beni comuni propongono una diversa gestione pubblica dei beni, che va oltre il semplice criterio di cassa valorizzando la partecipazione degli e delle abitanti e il riconoscimento della ‘redditività civica’ come funzionale ai bisogni essenziali.Con questi presupposti l’uso civico e collettivo urbano è stato rivendicato da una rete di altre esperienze in Italia, la Rete Nazionale dei Beni Comuni Emergenti e a Uso Civico, che propone il riconoscimento di tale istituto nei regolamenti locali e la creazione di un quadro legale di supporto a livello nazionale. La Rete si pone in dialogo critico con le proposte esistenti, proponendo l’introduzione di punti capaci di tenere conto delle specificità dei beni comuni urbani, e in particolare di quelli emergenti, rivendicati come tali dalle comunità di riferimento.