FAQ

Ovvero: guida ai beni comuni di Napoli in 10(+1) domande

Premessa: le seguenti Frequently Asked Questions servono a rispondere, in maniera semplice e diretta, ai quesiti che più spesso vengono sollevati da chi si trovi per la prima volta ad avere a che fare con la pratica dei beni comuni d’uso civico urbano, fermo restando che la partecipazione a questi rimarrà sempre libera e gratuita, e il loro modello è in costante evoluzione a seconda delle riflessioni e i cambiamenti delle comunità che animano i beni comuni.

1. Cos’è un bene comune?
una copiosa fonte di solidarietà,
capace di convertire la ‘società’ in un bene comune,
condiviso, posseduto dalla comunità, di cui prendersi cura insieme.

È la risposta d’una comunità informale (e che tale sceglie di restare) che, accortasi del potenziale disperso, decide di appropriarsi d’un luogo sottoutilizzato del suo territorio, ripristinandone, tramite l’uso civico, il valore, in modo da rispondere all’esigenza diffusa di attivarsi e partecipare alla vita politica, attiva e civile del proprio territorio, dal basso, eleggendo come proprio l’interesse di tutte e tutti, mossa dalla consapevolezza che agire per il proprio bene non può prescindere dall’includervi il bene comune a tutti. Un bene comune è, quindi, una sperimentazione pratica, politica, culturale, giuridica e comunitaria che, attraverso l’uso e la gestione collettiva di uno spazio, lo rende un bene comune, nell’ottica di una società improntata alla cooperazione e non alla competizione, orizzontale e non verticistica, porosa ed egualitaria, sempre rispettosa, tramite la cura reciproca, l’accoglienza e l’inclusione dell’altra e dell’altro, dell’alterità culturale.

2. Che forma giuridica hanno i beni comuni della rete napoletana? Si ottengono tramite assegnazione?

Il bene comune d’uso civico urbano, a Napoli, non viene assegnato ad alcun soggetto giuridico privato (comprese fondazioni, associazioni, ONG od organizzazioni senza fini di lucro), proprio per garantire che il suo funzionamento sia in qualsiasi momento accessibile a tutte e a tutti, senza adesioni formali, sottoscrizioni o tesseramenti. I beni comuni di Napoli emergono spontaneamente e volontariamente tramite una restituzione degli spazi alla città e mediante la stesura di una dichiarazione di uso collettivo urbano da parte delle comunità informali che li recuperano e li animano. In alcuni casi, le dichiarazioni sono state riconosciute da una serie di delibere e atti ufficiali della Città di Napoli (e che sono arrivate a costituire riferimento e modelli di studio per essere esportate in altre realtà).

3. Di chi è un bene comune?

La proprietà di un bene comune resta in capo all’ente pubblico che ne conserva la proprietà. L’uso e la gestione autorganizzata pertiene alla comunità informale cui tutte e tutti possono aderire, in qualsiasi momento, e partecipare liberamente, senza versamento di quote o firmando alcunché, solamente scegliendo di condividere il proprio tempo e mettere le proprie energie a disposizione di tutti e tutte, quando vogliono e per il tempo che desiderano. La proprietà resta pubblica ma l’uso è comune. Significa che il bene è di tutti/e, non di nessuno/a, e che tutte e tutti possono, e devono, averne cura, senza delegare, per chi verrà dopo di loro, e visto che se ne risponde a tutta la cittadinanza civile, alla comunità passata, presente e futura, è necessario attivarsi, partecipando e assumendosene la responsabilità, in un’ottica di recupero che sottende una visione olistica della società civile e onnicomprensiva della comunità in cui ci si trova immersi, e di rigenerazione urbana virtuosa.

4. Chi decide in un bene comune? Esiste un direttivo? Come si assumono le decisioni per gestirlo?

In un bene comune non esiste un direttivo né un presidente. Tutte le decisioni sono prese collettivamente, in modo libero, sedendosi in un cerchio, l’assemblea, sempre aperto, fra pari, dove nessuna e nessuno è escluso ma incluso dal primo momento. L’assemblea è aperta a tutti e a tutte, sempre. Di consueto si tiene ogni settimana, almeno, e il giorno varia a seconda dell’organizzazione del calendario degli appuntamenti di ciascun bene comune: di norma si può scrivere una mail per avere le specifiche precise (p.e. l’inserimento in odg). Ciascun bene comune può suddividere le proprie assemblee in differenti forme (p.e. assemblea di gestione distinta da assemblea di indirizzo), e organizzarne i momenti interni in forme diverse (p.e. tavoli tematici) che deve aver cura di comunicare in maniera trasparente e facilmente accessibile.

5. Come si prendono le decisioni?

i problemi della comunità – la politica – si discutevano e si discutono ancora comunemente sotto l’albero o nella capanna destinata alla palabre […] modello di risoluzione dei conflitti di poteri. La palabre riunisce […] l’intera popolazione, compresi le donne e i prigionieri […] gli antenati e gli spiriti sono del pari convocati […] in quanto giustizia di prossimità e forma di gestione dei conflitti, è suscettibile di risolvere molte difficoltà interne ed esterne […] è stato possibile individuarvi una forma di democrazia più o meno diretta, in particolar modo quando si tratta di società ‘acefale’ […] lo strumento collettivo è la democrazia di base, l’‘omni-crazia’, il ‘potere di tutti’ […] si tratta […] di una istituzione politica nella sua accezione più vasta […] è una discussione che si evolve fino all’unanimità e implica l’eguaglianza, la totale libertà d’espressione dei membri di una medesima comunità.

I beni comuni d’uso civico urbano napoletano hanno adottato, nel tentativo di essere quanto più inclusivi possibili delle posizioni di tutte e tutti, allargando il dibattito, come sistema decisionale quello del consenso. Consenso significa che ogni questione viene dibattuta fino a quando non si pervenga, insieme, a una decisione largamente condivisa. Le decisioni, quindi, non vengono assunte per votazione o a maggioranza, proprio per contemperare l’interesse di tutte e tutti. Nell’ottica della cura dei punti di vista e dell’inclusione più comprensiva possibile delle posizioni di ciascuna e ciascuno, a discapito di tempi rapidi, efficienti ed efficaci, di matrice economicista, il consenso, e le modalità assembleari di cui si dota, sono un processo fondato sull’ascolto attivo e partecipato, l’esercizio libero della partecipazione attiva, e il confronto reciproco e costante volto a pervenire a decisioni condivise e rispettose dell’opinione di tutte e tutti. Nei beni comuni, l’altra e l’altro viene sempre accolto, in quanto attraverso il suo ascolto la comunità riconosce una parte di sé che, altrimenti, rimanendo arroccata sulle proprie posizioni, o convinta di autoconoscersi, le rimarrebbe preclusa, finendo per cristallizzarsi e ostacolando l’aggiornamento continuo delle nuove parti sociali emergenti col tempo e che rinnovano il tessuto sociale, la composizione e l’alterità culturale della comunità in continuo divenire. I beni comuni cercano di non fermare mai la sperimentazione su come essere quanto più inclusivi spronando una partecipazione libera, diretta e diffusa di tutti e tutte (p.e. con tavoli ‘fare comunità’). Non c’è unanimità né potere di veto, ma ricerca dell’accordo anche nel disaccordo.

6. Chi può partecipare all’assemblea?

Chiunque voglia può entrare, e uscire, quando vuole e liberamente, e decidere se e quanto essere parte della comunità. Un bene comune, per essere tale, deve garantire, nei fatti, che la sua comunità sia sempre aperta ed eterogenea. L’assemblea è il momento di massima condivisione, perciò è sempre importante tenerla viva e animarla. È l’assemblea il luogo dove vengono assunte le decisioni che si ripercuoteranno su tutta la vita e la gestione del bene comune, compreso il suo stesso rimanere in vita. Un bene comune è vivo fin tanto che sia viva e vitale la sua comunità, e questa è tale fino a che sia attiva e partecipe alla vita politica e quindi al luogo deputato all’assunzione delle decisioni. Chi fa parte di un bene comune decide di declinare la propria libertà in maniera attiva e non passiva, non recependo decisioni assunte dall’alto, non delegando quindi ma assumendosi la responsabilità di partecipare alla loro elaborazione, e quindi esercitare, attivamente e volontariamente, la propria libertà, destinando il proprio tempo all’ascolto attivo e all’accoglienza dei problemi delle altre parti della sua comunità. I beni comuni, consapevoli della natura interdipendente delle persone, sono luogo dove si pratica la cura reciproca delle relazioni con l’altra o l’altra, che spesso, all’esterno di un bene comune, dato il clima di diffidenza e competizione, si è ormai disabituati a coltivare. Per tornare ad adottare un modello di vita comunitaria, e scardinare gli automatismi atomizzanti della società contemporanea individualistica, è importante esercitarsi a cogliere e valorizzare ogni occasione di incontro con l’altro, votato al rispetto della diversità, autodotandosi di anticorpi di convivenza civile: l’assemblea, tenuta aperta, è il luogo deputato a far sì che in un bene comune sia possibile incontrare non solo chi è prossimo alla comunità per sensibilità e valori comuni, ma anche il terzo, il diverso, l’altra o l’altro, chi si autoesclude, chi è introverso, chi si sente in minoranza, che qui potrà trovare una comunità non giudicante che lo accolga.

7. Come posso partecipare alla vita di un bene comune?

Per far parte di un bene comune è sufficiente partecipare all’assemblea o ai momenti di cura collettiva dello spazio, scrivere per sapere le modalità di partecipazione o quando ci sarà il prossimo appuntamento utile, nel quale poter offrire la propria disponibilità o avanzare la propria richiesta. Per far parte della comunità basta essere partecipi. Un bene comune vive grazie alla presenza di chiunque abbia voglia di prendersene cura. Si può partecipare segnalando, in qualsiasi momento, alla prima occasione, la propria volontà ad aiutare attivamente lo svolgimento d’un singolo evento o attività specifica o in generale la vita del bene comune. La partecipazione va dalla cura degli spazi (pulizie ordinarie, curatela, manutenzione, guardiania, riordino tecnico, autocostruzione) all’organizzazione dei singoli eventi pubblici (la proposizione, l’assistenza), la garanzia dell’accesso ai seminari e ai laboratori o ai momenti di incontri politici, la comunicazione, l’apporto logistico, ecc, a seconda delle proprie disponibilità e mettendo in comune le proprie competenze e anche solo quando del proprio tempo s’intende donare. In tal senso, può essere utile consultare il calendario settimanale di ciascun bene comune, o passare direttamente agli eventi dove, se si vuole, offrire la propria disponibilità a interagire con la comunità. Basta, semplicemente, offrirsi.

8. C’è un numero di telefono?

Solitamente ciascun bene comune si dota di una mail il cui controllo e i tempi di risposta sono variabili giacché l’impegno è sempre di stampo volontaristico. Sulle pagine dei singoli beni presenti su CommonsNapoli.org si trovano le informazioni per entrare in contatto con tutti i beni comuni napoletani.

9. Posso affittare uno spazio in un bene comune per un evento privato?

Ciò non è possibile in quanto sarebbe un uso privatistico che va in conflitto insanabile con l’uso e la gestione del bene comune che è, appunto, comune e non può mai essere escludente. Significherebbe precludere la libera fruizione di spazi cui è sempre, invece, garantito il libero attraversamento e porrebbe un limite all’inclusione. È possibile che ci siano, eccezionalmente, eventi pubblici ma a numero limitato a seconda delle esigenze logistiche, o che, nel rispetto di chi li tiene, non vi si possa accedere oltre un determinato orario o a evento già iniziato. Possono esserci laboratori, seminari o prove di compagnie in cui l’interesse privato di un lavoratore in difficoltà venga tutelato ma mai in maniera durevole od ostativa della libera fruizione, nel lungo periodo, degli spazi. L’uso degli spazi è aperto a tutte e tutti gratuitamente, sempre, senza costi di utilizzo né assegnazioni se non transitorie; l’organizzazione è coordinata nell’assemblea pubblica o dai tavoli tematici.

10. Come funziona la gestione dello spazio?

La cura dello spazio è demandata alla libera autorganizzazione e all’assunzione della propria responsabilità da parte di ciascun componente della comunità. Un bene comune significa che è di tutti e tutte, e non di nessuna, nessuna o di ciascuno o ciascuna. Va curato in quest’ottica, senza delegare o attendere nomine, cercando di lasciarlo in condizioni migliori di come è stato trovato, nel rispetto di chi dovrà usarlo dopo. Non c’è un personale per la pulizia e la manutenzione, per questo è richiesta la cura di tutte e tutti quelli che vivono, anche per poco tempo, o attraversano il bene comune. La cura che non si presta, ricadrà sulle spalle di altri/e, perciò l’invito è ad alzare il livello di attenzione più che se ci si trovasse in un bene proprio, giacché, del suo uso, ne risponde tutta la comunità nei confronti della cittadinanza che ne ha demandato la gestione. Se il Comune di Napoli, cui la proprietà dei beni comuni resta, copre le spese per l’elettricità e l’acqua, ciascuna comunità affronta tutte le altre spese di gestione e manutenzione tramite una cassa comune (oltre a procurarsi mezzi di produzione di cui dotare la comunità per garantire, per esempio, la possibilità di fare laboratori), e perciò gli eventi sono accessibili tramite offerte libere di autofinanziamento .

+1. C’è una quota da versare per gli eventi d’un bene comune? Occorre iscriversi o associarsi?

CHI HA METTA, CHI NON HA PRENDA.

In un bene comune i concerti, gli spettacoli, le proiezioni, i seminari, le conferenze e gli incontri sono sempre pubblici e a ingresso libero. È gradito un contributo a piacere, talvolta consigliato a seconda delle spese di chi ha creato l’evento, ma comunque mai vincolante, che serve ad abbattere le spese minime e a dotare gli spazi dei mezzi di produzione necessari alla cittadinanza per portare avanti la sperimentazione politica, giuridica e culturale e tenere vivo e accessibile a tutte e tutti il bene comune.