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Tornare a progettare il futuro: i tavoli di architettura e il percorso di Ad Uso Civico e Collettivo

di Gaetano Quattromani


Questo articolo della serie che approfondisce le traiettorie di co-progettazione Ad Uso Civico e Collettivo, il percorso collettivo mirato a delineare le condizioni per e a programmare i lavori di ristrutturazione e di messa in sicurezza degli immobili dell’Ex-Opg – Je so’ pazzo e dello Scugnizzo Liberato, e in particolare i lavori di tavolo che si sono condensati intorno a delle sessioni laboratoriali, comincia con la descrizione di alcune parole-chiave.


Dietro le parole – lo anticipo – ci sono le pratiche condivise delle due comunità di riferimento. Parto dal presupposto che le pratiche delle comunità, una precisa tensione giuridica e una certa disponibilità all’immaginazione siano tra le idee forti dei beni comuni: sono gli elementi che ci accompagnano lungo questo racconto, quelli che, ricombinati grazie al lavoro di facilitazione della squadra di figure esperte della Scuola Open Source, hanno reso possibile la realizzazione di un design collettivo del futuro per due strutture in due quartieri del centro di Napoli. Tutto sarà più chiaro alla fine dell’articolo; inizio dunque dalle parole. Le sistemo provando a disporle con ordine e metodo. Ecco cos’hanno prodotto concretamente i tavoli di architettura sopracitati.

Bisogna che citi anzitutto il cantiere aperto: l’idea che dei lavori di ristrutturazione, anche di portata rilevante, siano realizzabili assicurando – in sicurezza – l’accessibilità di un immobile prevedendo sperimentazioni possibili. Rendendo, per esempio, parzialmente visitabili i cantieri nel corso dello svolgimento dei lavori, permettendo così che si venga a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori e dei frutti dell’innovativa metodologia impiegata per programmare questi ultimi. C’è poi la cabina di regia. Una composizione varia di persone a cui viene conferito il mandato operativo di realizzare gli obiettivi previsti e di coordinamento istituzionale: vi prendono parte persone designate dalle comunità di Scugnizzo Liberato e di Ex-Opg – Je so’ pazzo oltre che dall’Osservatorio dei Beni Comuni, altre delegate da Invitalia, Demanio e Sovrintendenza, e ancora figure tecniche e politiche del Comune. Una composizione con la peculiarità di essere partecipata: attenzione nel creare il corretto e trasparente flusso di informazioni sulle decisioni, i tempi, le modalità e quanto accade in generale; verbalizzazioni obbligatorie delle riunioni, disponibili pubblicamente per la lettura; sedute pubbliche periodiche; una facilitazione dedicata delle sedute di riunione della cabina; presenza di figure esperte, invitate dalle comunità dei due spazi; organizzazione di momenti di restituzione pubblica. Non può mancare un riferimento al fondamentale coinvolgimento delle due comunità in merito alla scrittura di bandi di gara – nel caso dello Scugnizzo – e degli accordi attuativi – nel caso dell’Ex-Opg. Una differenza che si deve alle diverse modalità di finanziamento dei lavori ai due immobili. I bandi serviranno alla selezione delle ditte e dei servizi tecnici e le comunità potranno partecipare a stabilire i requisiti per entrambi.

Il piano I dell’Ex-Opg con segnalati alcuni degli interventi da realizzare. In particolare, i nuovi accessi alla struttura, disposti con riguardo alla dislocazione delle aree e delle attività, saranno la garanzia di una fruizione pubblica molto più soddisfacente. E poi: uno sforzo enorme per la sostenibilità energetica, aree espositive e monumentali, creazione di percorrenze verticali, integrazione tra spazi verdi e spazi aperti, ottimizzazione delle attività esistenti.

Infine, i vincoli comunitari e la programmazione espressi da una apposita governance. La garanzia di un andamento del progetto che rispetti i desideri e i bisogni delle due comunità, oltre alla trasparenza di ciascun passaggio progettuale. In linea di massima, ed è comprensibile, tutto ciò che è stato elaborato durante il percorso di co-progettazione e che risulta rilevante ai fini della costruzione dei bandi di gara deve trovare una traduzione all’interno di essi, così come, in generale, in ciascuno dei passaggi esecutivi. Ma poniamo qualche esempio per illustrare le possibilità concrete. Più di una semplice occasione di decidere, un obiettivo vero e proprio: far sì che le comunità esprimano le indicazioni in grado di far incontrare le esigenze tecniche con i reali bisogni dell’utenza, che si tratti di abitanti degli spazi o del quartiere. Ancora, tutto il comparto tecnico, ditte comprese, deve mettere a disposizione una capacità di ascolto di istanze, suggerimenti e idee (tra i requisiti più importanti dei profili che saranno considerati). Va poi specificato, nel caso dello Scugnizzo Liberato, che essenziale è l’impegno, riguardo alle posizioni di manodopera, ad assumere personale appartenente a categorie protette, e per la ricaduta in termini occupazionali sul quartiere.

Il cantiere aperto, la cabina di regia partecipata, il coinvolgimento delle comunità nella scrittura dei bandi, la governance che ha espresso i vincoli comunitari e la programmazione sono gli ingredienti di una strumentazione tecnico-politica capace di operare su due fronti. Da un lato, essa si deve confrontare funzionalmente con i meccanismi degli assetti burocratici che regolano la società in cui viviamo – un’annotazione ovvia, ma devo comunque farla: di solito non favoriscono le istanze dei processi democratici dal basso, perciò tale strumentazione deve essere salda per poter sostenere uno sforzo di pressione notevole. Dall’altro, è chiaro che debba incarnare efficacemente gli interessi e i desideri delle comunità dei due spazi, e dei quartieri in cui essi sorgono – interessi individuati attraverso un’indagine conoscitiva apposita. Tale bifrontalità di strumentazione è poi stata intelligentemente favorita, e resa possibile, dal lungo lavoro comunitario di produzione delle dichiarazioni d’uso degli spazi, ai cui punti è stato possibile fare richiamo nel corso di tutto il lavoro di co-progettazione, come se esse fossero quasi delle carte costituzionali su cui potersi fondare. Erano importanti già in passato, forse ora lo sono ancora di più.

Suppongo sia opportuno richiamare cosa siano, in due parole, queste dichiarazioni: le comunità dei beni comuni napoletani hanno prodotto ciascuna, negli anni, una
Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano, in cui si dichiarano gli ideali che ispirano la vita collettiva della comunità stessa, si enunciano le modalità intraprese per realizzarli, come quelle mutualistiche; si descrivono i principi di apertura e di orizzontalità, le modalità gestionali e decisionali, nonché di relazione con gli enti istituzionali. Sono quindi, queste dichiarazioni, come delle summae espresse dagli organi di autogoverno dei beni comuni, le varie assemblee di abitanti, centrali nella vita decisionale e gestionale degli spazi.

Va ricordato un aspetto importante: nel retropalco della strumentazione che ho descritto, che agisce contraddittoriamente nella condizione di operare all’interno di un sistema che vuole trasformare, c’è il lavoro di comunità, e dei saperi che hanno il fondamento nelle pratiche. Detto in altro modo: le persone sanno, sanno quel che vogliono e hanno imparato a fare nel tempo, e ciò naturalmente fa la differenza per la buona riuscita di un percorso dal temperamento collettivo tanto spiccato. Esiste certamente una contraddizione nel cercare di costruire un futuro con caratteristiche alternative allo stato di cose vigente. Ma essa riguarda il fatto che è inevitabile dover partire da come stiano le cose nel presente: sotto l’egida dell’ordine sociale in cui viviamo, ai cittadini e alle cittadine comuni non è dato occuparsi efficacemente delle decisioni strategiche sulla vita collettiva. Forse è anche questo il fuoco del percorso di co-progettazione Ad Uso Civico e Collettivo. I nostri sono tempi in cui si fa fatica ad affermare l’ovvio: l’idea, antica peraltro, che nella città si faccia politica, che sia necessario prendere posizione in ciò che si fa nella vita. Cioè che esistono le fazioni, si affermano le visioni e gli interessi di classe in modalità contrapposte, si delineano soluzioni che poi risultano legittime per alcune parti ed esiziali per altre. Idea che si contrappone al principio neoliberale per cui sia persino auspicabile che la decisionalità della politica venga soppiantata da un’agentività burocratica, meramente amministrativa, che nasconde disparità di potere, diseguaglianze e gerarchie illegittime. Un processo, questo, di scala immensa, di ristrutturazione gerarchica della vita degli esseri umani in società, in senso individualista e conservatore.

Un nuovo ingresso per lo Scugnizzo Liberato: o, meglio, la riapertura dell’antica entrata della struttura, che si affiancherà a quella attualmente già in uso. E poi: rifacimento dell’intera impiantistica, netto potenziamento degli spazi condivisi di lavoro e di quelli laboratoriali, adeguamento dei servizi igienici, attenzione a porre le basi per ulteriori interventi futuri coinvolgenti gli altri piani e che continuino il recupero della struttura, efficientamento energetico, rifacimento dei tetti e delle coperture, recupero delle acque piovane, riapertura degli ambienti attualmente inaccessibili, murati o irraggiungibili.

Le comunità dell’Ex-Opg e dello Scugnizzo fanno politica locale in un quartiere, tentano di lasciare un’impronta su un territorio dato, e perciò vivono pienamente all’interno della contraddizione. Dato che esse si sono poste su un piano specifico della realtà, si sono messe in testa di interpretare un movimento della storia, di perseguire e realizzare un bene comune, e ciò che compiono quotidianamente possiede più rilevanza dell’espressione di una mera opinione, la mia tra le tante altre. Lo so: ecco un’affermazione ripetuta così spesso da essere diventata sommamente retorica e probabilmente insopportabile. Ma è davvero così, perlomeno in questo caso. Non è un riconoscimento ostinato di merito bensì uno sforzo onesto di definire al meglio il soggetto del racconto di queste esperienze. Per loro, quello della contraddizione non è il fatale orizzonte del limite dell’azione nel mondo: la contraddizione è il difficile punto di partenza. Occorrerà del tempo per verificare che si sia di fronte a un détournement compiuto. Ma queste esperienze sono il precipitato di intenzioni, di visioni teoriche, di desideri. Sono delle pratiche, e possiedono il valore conoscitivo di un vasto esperimento collettivo e concreto continuato per anni.

«[...] Attenzione nel creare il corretto e trasparente flusso di informazioni sulle decisioni, i tempi, le modalità e quanto accade in generale; verbalizzazioni obbligatorie delle riunioni, disponibili pubblicamente per la lettura; sedute pubbliche periodiche; una facilitazione dedicata delle sedute di riunione della cabina; presenza di figure esperte, invitate dalle comunità dei due spazi; organizzazione di momenti di restituzione pubblica».

Chi gradisce il mondo così com’è diventato continuerà a difendere il regime del presunto pilota automatico neoliberale. Quest’ultimo persegue un modo ideologico di ripartire le risorse nella società – di accumulazione aggressiva, violenta: il modello del a chi tutto e a chi niente. Si potrebbe anche arrivare a pensare che la società neoliberale sia malvagia per propria costituzione. Però, come modello, non è stata un capriccioso accidente della storia o un suo esito inevitabile. Se l’intera società, con la sua vita pubblica, è oggi stabilmente organizzata intorno ai principi neoliberali – sanità, istruzione… andare in banca, passeggiare in un parco – è perché le intenzioni neoliberali, al fine di realizzarsi, hanno dovuto dotarsi di qualcosa di più di uno specifico concetto di umano, pure altrettanto detestabile.

I modelli servono per spiegare il reale – per legittimarlo. Ma servono anche per dispiegare il reale – per metterlo in opera e in scena, per farlo funzionare. Non c’è dubbio che la potenza di affermazione del neoliberismo sia dipesa da fenomeni e oggetti consueti nella storia dei conflitti sociali, come per esempio la repressione poliziesca, la censura ideologica, la violenza e la selezione di classe, il patriarcato, la corruzione delle élite locali e via dicendo. Ma immaginare un mondo che si dovrà impiantare non significa pensare a esso in modo generico: bisogna proprio immaginare come funzionerà nei dettagli, bisogna che le visioni di pensiero si facciano anche più che mera azione o semplice abitudine. Si devono fare
pratiche.

Forse dei modelli si può anche fare a meno. Delle pratiche, di sicuro, no. Perché esse potenzialmente configurano dei saperi. Il neoliberismo, un pezzetto alla volta, ha ricostruito tutto il mondo di senso che viviamo quotidianamente. Anche quello di moltissimi esseri umani che continuano a concepire sé stessi – vuoi per origine sociale, vuoi per identità familiare, vuoi per il lavoro che svolgono, vuoi per cultura personale o per mille altre ragioni ancora – come entità progressiste. Ecco cos’è accaduto: che spesso le azioni e le scelte di chi si professa progressista non comportano alcuna possibilità di progresso collettivo. C’è rimasto invece di interessante e di possibile, in un’esperienza concreta e specifica come quelle dei beni comuni, che le persone si diano a comportamenti, prendano decisioni, sviluppino orientamenti personali, seguendo esigenze molto più legate al contesto – e, forse, ai propri bisogni personali e a quelli di altri esseri umani. Nel senso che, se non si fossero trovate in quelle condizioni peculiari, con la precipua grammatica di senso a disposizione, non avrebbero preso quella scelta, non avrebbero condotto quella considerazione, e avrebbero scelto e considerato diversamente.

Per dirla con una definizione: le esperienze implicano pratiche e producono ordini di significato, cioè quei processi semiotici e interpretativi che sono a un tempo personali e condivisi, e che ci consentono di pensare, di agire, di immaginare, di stare bene o male, di amare e di odiare, nonché di lottare. Tutte le attività negli anni realizzate presso e da Ex-Opg e Scugnizzo, le pratiche condivise, i saperi elaborati, le visioni immaginate, le spinte organizzative, le iniziative di lotta e quelle mutualistiche, lo spirito contrario non al mondo ma a questo mondo fatto così com’è, fino ad arrivare al percorso di co-progettazione, una tappa importante di traiettorie più lunghe, rappresentano anche il tentativo di costruire un nuovo e diverso ordine di significato. Da questo nuovo si può partire per progettare un futuro collettivo che abbia un esito diverso da quello che altrimenti ci attende.


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